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23 marzo 2009

Il piacere del declino

La parabola eccezionale dell'impero americano e dell'egemonia della sua civiltà è così ben rappresentata in un secolo di cinema che è facile prevedere che infiniti studi storici dei tempi a venire attingeranno da questa documentazione dell'immaginario.
Anche in questo senso, oggi è grande il piacere di guardare i film e le serie americane.
Raccontano una civiltà al suo apogeo che, al principio del suo declino, misura la sua grandezza, si comprende e finisce col creare un mito nostalgico di se stessa.

E' il solo esempio che io conosca di arte classica vivente.
Se tutta la civiltà europea non è mai stata davvero capace di distaccarsi dall'eredità greco-romana, quella americana ha trasfigurato l'eredità del mondo greco-romano in una forma autonoma, genuina ed originale, capace di inventare e sviluppare mezzi espressivi propri. E' popolare e insieme "illustre, cardinale, aulica e curiale" come da noi non si conobbe mai veramente - e certamente non in Italia.
Di fatto, la lingua - spesso barocca, ma di spettro espressivo ampissimo e, soprattutto, quasi incapace di pesantezza e ampollosità - e i canoni per il mondo a venire sono stati stabiliti da loro.

12 marzo 2009

All'inizio e alla fine della civiltà

Il frutto ultimo della morale è la finzione del rigetto della violenza, che non sta bene, che non è mai bene. Così la liberazione dell'ira, la vendicazione del torto e, in generale, qualunque intervento diretto verso un'opponente che possa semplicemente degenerare in un conflitto, ormai è proscritto.

E' difficile pensare che la specie sarebbe semplicemente sopravvissuta se non fosse stata inerentemente "violenta". Anzi, visto l'innegabile successo della specie homo sapiens, si può supporre che questa sia spiegabile non solo in termini di adattabilità, ma in una peculiare predisposizione alla violenza. Così che anche l'adattamento sarebbe, in fondo, solo una forma di violenza - anche rivolta contro se stessi. (L' "adattamento come violenza contro se stessi" è alla base della "Società Industriale" di Kaczynski).

Purtroppo questi sono tempi in cui il valore neminem laede è presunto assolutamente universale e allora conviene sgrezzare i termini, perché la "violenza" non è davvero quello stupido comportamento brutale a cui la si vuole appiattire. La violenza è certamente volontà di distruzione. Una volontà di un grado così primigeno che non ha bisogno di coscienza. Ma, la coscienza e la gestione della violenza è la forza della creazione. Il cedimento ragionato e canalizzato all'impulso violento - ma vorrei dire alla volontà di potenza - diventa in uomini rari e quanto mai indispensabili una malia che fonda un compito, una missione, un destino che è alla radice del legislatore, del condottiero, dell'artista e anche del fondatore di una religione.
Il rigetto della violenza non è un avanzamento morale (se non altro perché il progresso morale non esiste e non è mai esistito), è l'anticamera dell'estinzione: l'estinzione della civiltà - e di questo ci sono solo troppi esempi in giro.