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23 marzo 2018

Se c'ha senso, allora probabilmente non è vero

Dalla fine del XVIII secolo i filosofi si trovano oscurati dall'ombra pesante che la 'verità' sia inattingibile. Paradossalmente questo è il frutto di una più grande maturità della conoscenza. Verità e conoscenza hanno cominciato, più o meno scientemente, a divergere con lo sviluppo delle scienze sperimentali, al punto che "verità" è diventato un concetto problematico. C'è una linea ininterrotta, che si può metaforizzare come un'infiltrazione che finisce per diventare un'onda di piena che tutto travolge, da Copernico alla meccanica quantistica, per cui bisogna disperare sulla possibilità di una congruenza tra le nostre rappresentazioni col mondo che riusciamo a conoscere. 'Conoscenza' è ormai una premessa necessaria per manipolare il mondo, non per capirlo. L'idea di capire il mondo sembra ormai puerile.

Da qui... c'era davvero bisogno di cominciare chiedersi il "significato dell'essere"? Cioè? Invece di "non è possibile dare un senso alla verità" si decreta che "se c'ha un significato, allora deve essere vero"?

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