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03 marzo 2011

post hoc ergo propter hoc - davvero

In fin dei conti, non si sa nemmeno bene cosa possa significare propter rispetto ad hoc. Possiamo certamente definire numerose circostanze che, congiunte allo stato iniziale, "determinano" quello che segue. Così che, se una di queste circostanze vennisse a mancare, l'effetto non seguirebbe più la causa. Ma anche così, saremmo pur sempre nel quadro di una successione temporale. Laddove si sia pure intimamente convinti di un nesso causale, qualsiasi cosa esso sia, tuttavia non c'è nessuna dimostrazione che questo esista in rebus (nelle cose in sé, se può piacere di più). Insomma, propter hoc sarà sempre un post hoc laddove il presunto effetto segua nel tempo la sua presunta causa e, qualunque altra cosa se ne voglia dire, si tratta pur sempre di un assunto (e forse anche lo scorrere del tempo lo è...).
Si deve fare l'ipotesi che quel propter non sia che un caso particolare e una sorta di traslazione invertita (cioè nella forma invece che nel significato) di post. E questo, ne convengo, può anche apparire uno sterile sofisma, perché tutto sommato, quello che si usa del cervello per vivere comporta anche l'associazione causale di eventi. E, kantianamente, dovremmo convenire sulla necessità della categoria della causalità. E invece no.

Laddove si postula la necessità, l'a priori del concetto di causa, bisogna anche considerare se questa causalità sia davvero universale, cioè almeno cosmopolita, oppure se ci sia causa e causa. Infatti, è noto che in certi stati di sviluppo sociale eventi favorevoli o sfavorevoli siano stati abitualmente associati a semplici presenze o segni, presumendo azioni più o meno a distanza, influssi. E' da notare come la natura di questi influssi non entri mai davvero in questione, è semplicemente ignorata o vagamente presunta. La loro realtà non è discussa o si cerca (ex post!) di stabilire collegamenti plausibili. Non si cerca di accertarne l'esistenza, l'effetto è considerato un indizio sufficiente e quella realtà è accettata, stipulata (e spesso temuta). E partendo da questa idea di causa - anche se, in verità, altri fattori hanno avuto un peso preponderante - si è pure bruciata qualche persona dalle nostre parti.

Ma, giustamente, proprio questo esempio ci dimostra il luminoso progresso che ha permesso di affrancarci da questo schema di causalità superstizionsa e di operare quel rigoroso affinamento che ha redento la causa, la "vera" causa, uno dei cardini del progresso scientifico (che potremmo chiamare la nostra causa, giocando su più registri semantici). Perché "da noi" si cerca di capire la natura di questi influssi - è così che si sono scoperti i battèrî, gli elettróni (davvero qualcuno ha scoperto gli elettroni?). E si cerca di vedere se poi davvero a un certo effetto corrisponda "quella" causa. (Già... Com'è successo questo? La ricerca della verità, senza dubbio).

Però, se così stanno le cose e se la nostra causa è piuttosto il risultato di un affinamento progressivo,
si insinua il dubbio che la causalità non ha davvero quel caratter inter-soggettivo e universale, insomma, oggettivo. C'è senz'altro una certa idea di relazione approssimabile alla causa, così come la si vede da noi, riscontrabile un po' dappertutto, ma questo fatto non costituisce in alcun modo una prova né della realtà sustanziale delle cause, né che queste siano insite a priori nell' intelletto.
Il punto qui non è che non ci sono cause - perché, in generale, non possiamo sapere che cosa c'è e che cosa non c'è (se questo fosse davvero possibile, non ci sarebbe mai stata la filosofia). Il punto è che il concetto di causa è, come molte altre verità necessarie, storico. E' sviante, per non dire falso, pensare di poter distinguere un nocciolo "puro", "scientifico" ("vero") del concetto di causa dissociato da una dimensione storica, morale.  La causa è, in fin dei conti, soprattutto una categoria morale - o un concetto del tutto morale nel mio sospetto.

Una comunità in uno stato di sviluppo economico precario o logorata ai limiti della sopravvivenza, dove eventi atrocemente casuali e irresistibili come catastrofi naturali o epidemie possono determinarne l'estinzione, non esisterà a abbracciare ferventemente lo schema superstizioso della causalità. C'è il bisogno di imporre un ordine e di conseguenza un'idea di controllo a una situazione disperata. Al punto che si può anche pensare di eliminare o attenuare l'evento nefasto, intervenendo sulla sua causa presunta - così il sacrificio, anche preventivo, operando misteriosamente (ma nessuno si cura di sapere come), sperabilmente interverrà sulla causa e non farà avvenire o ne farà cessare l'effetto.
Invece, una società dove la soppravvivenza dipende sempre più dal commercio, dove il rispetto della proprietà e dei contratti è l'elemento sempre più fondamentale della convivenza, dove il senso morale dilaga fino alla cristallizzazione del diritto, non basta più post hoc per dire propter hoc. Si deve cercare la connessione necessaria, cioè la dove si può determinare un colpevole o un legittimo proprietario, dove si possa deteminare a chi va qualcosa, secondo quale criterio e pure in quale quantità. Da qui la nostra causa...