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13 ottobre 2011

santità, ascetismo, eroismo, tempo

E' difficile non avere un certo rapimento intellettuale per la santità. I santi rappresentato una specie di sarcasmo rivolto contro i filosofi, il santo ha un potere che il filosofo sogna, agogna, ma non ha.

Che cos'è un Santo? Fondamentalmente una non persona... ma non semplifichiamo troppo.

Non si può non supporre che la santità sia più congeniale a certe nature che vedono nell'approdo al nirvana l'unico porto sicuro, laddove si sia già decretato che tutto in vita è solo pericolo, sofferenza e schifo. In questo senso la santità è un antiansiogeno, un progressivo estraniamento dalla vita e dall'umanità verso uno stato di apparente insensibilità a se stessi e al mondo.
La forma dell'ascetismo può essere uno scivolo verso l'auto-cancellazione del soggetto, assecondando la concupiscenza per un altra dimensione. L'eliminazione della finzione del soggetto porterebbe a un'amplificazione che annulla la finitezza, a l'ottenimento di un eternità interiore per cui il santo sarebbe un'immagine della totalità reale dell'universo (ovviamente, questo reale è un mondo in opposizione a quello in cui viviamo), magari anche un canale di comunicazione con un "altro" - il che è anche detto misticismo.
[La mia scuola del sospetto induce a vedere questa santità, che ambisce alla cancellazione del tempo, come piuttosto il risultato di una persistenza nel tempo. C'è un'inclinazione naturale al misticismo e all'ascetismo - fanno parte del ventaglio di capacità di ognuno - per quanto la prassi di una civiltà possa nasconderle e pure stigmatizzarle. La santità è in questi casi soprattutto la persistenza che ammaestra il corpo facendole evolvere da inclinazioni ad abitudini. C'è anche la suggestione che con mistici e asceti si chiuda un cerchio: si potrebbe arrivare ad avere insensibiltà e alienazione dal corpo e dal tempo anche percorrendo la via opposta, ricercando l'eccesso piuttosto che la privazione].


Però la santità si manifesta anche come trionfo della volontà. L'opposizione ostinata e incompromettibile alla propria natura conduce nuovamente, o si (con-)fonde con il cedimento nell'approdo all'ascetismo.
Ma in questo senso sfuggirebbe la dimensione eroica della santità, cara al Cattolicesimo.
Questo erosimo si pone pienamente nel tempo e perfino nell'attimo: è il santo della scelta e dell'azione. E' il santo che definisce il mondo intorno a sé, mira ad essere la massa che curva, o che sfonda lo spazio e il tempo invece di essere definito da questi.
In questo senso, un santo sarebbe una figura politica, come Napoleone o Giulio Cesare. Ed è anche così, è stato il caso di Cristo e Gandhi. [D'altra parte è notevole come il politico politicante del nostro tempo cerchi sempre di indossare qualche paraphernalion della santità, affettando sempre un senso della missione e l'assenza di tornaconto personale].
Però la dimensione politica del santo è peculiare, a differenza della figura del signore umano, lo si percepisce come il potere senza il potere. 
Il santo mostra un potere, anche terribile, che trascende ogni cosa umana, ma soprattutto che trascende la sua persona, che non gli appartiene. Qui ritorna la figura della non persona, punto di congiunzione con un altro, con un mondo reale di bene e giustizia. Egli testimonia quel mondo in questo mondo e facendolo entra in opposizione, anche fattualmente, col mondo degli uomini. Ma testimonia allo stesso tempo la sua fragilità, la fragilità di tutti, l'indegnità dell'uomo al potere, a maggior gloria del potere altro che lo abita.
In questa congiunzione di opposti si trova la ragione della popolarità del santo, il campione e il vendicatore di tutti quelli che subiscono il potere (e anche la vita).

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