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16 maggio 2011

L'ultimo Santo

Rilevo, senza spiegare, che in epica e narrativa - cinema, romanzi, fumetti... - ricorre spesso la scena del combattimento alla morte, del duello - del giudizio finale.

Alle origini dell'Occidente, Ulisse scannava i Proci ristabilendo con un bagno di sangue i suoi possessi (la famiglia e il regno) e la legitimità della nobiltà ellenica.

Slaughter of the suitors by Odysseus and Telemachus, Campanian red-figure bell-krater, ca. 330 BC, Louvre (CA 7124) - source WikiMedia

In seguito il topos letterario del duello è diventato la manifestazione di una giustizia celeste ed infine il teatro in cui il vincitore (il bene) grazia il vinto (il male). Pare addirittura che più il soccombente è moralmente indegno, più la grazia gli sia dovuta (questo è praticamente un riflesso condizionato nel cinema hollywoodiano). Il vincitore rifiuta di essere esecutore per affermare una giustizia "più grande", quella rappresentata dal dominio della legge, a cui il colpevole ma anche il giusto devono assogettarsi.
Si può leggere in filigrana l'evoluzione della morale (del progresso morale o della decadenza secondo Nietzsche) nelle rappresentazioni di queste opere distruttive.
Il punto di approdo sembra essere la scelta dell'auto-distruzione, in cui il vincitore (se si può più ancora chiamare così) compie il sacrificio di sé nell'affermazione del bene universale a cui crede - o a cui non può rinunciare a credere. Così l'ultimo duello di Clint Eastwood in Gran Torino è di fatto un suicidio, ma sempre per l'affermazione di quella giustizia "più grande".
Qui si varca la soglia della santità: Clint - Walt Kowalski, polacco di origine e cattolico, va alla morte armato solo di un santino... [Curioso questo approdo al Cattolicesimo dell' America "pop". Si era già visto in Spiderman 3, quando Pete perdona l'Uomo Sabbia per l'omicidio dello zio].


C'è un valore quasi paradigmatico nel fatto che, proprio in quello che probabilmente è ultimo film di Eastwood come attore, vi sia questo duello dell'ultimo uomo. 

L'attore Clint è stato un unicum, ha avuto la capacità come nessuno di interpretare l'eroe in uno stile che lo apparenta più ai personaggi delle tragedie greche che al canone cinematografico. In questo senso, più genuino, lo si può definire un classico, per la sua capacità di incarnare vita ad archetipi. E da Per un pugno di dollari a Gran Torino rappresenta la parabola di una civiltà che si aliena della sua forza, che cede la sua autonomia, la sua identità, che è stanca di vivere e si sente condannata all'estinzione - un po' come il vecchio Walt... La scelta della santità diventa l'ultimo tentativo di superare la debolezza, di accettare un destino già scritto, ma con l'estrema affermazione dell'amicizia, della comunità giusta di uomini solidali. Questo, in fondo, è anche nichilismo, ma - forse perché ha la faccia di Clint - è anche un qualcosina di più.

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