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29 settembre 2011

Estetica nichilista

Filosoficamente nichilismo sarebbe la crisi definitiva della verità, della prospettiva filosofica della verità.
La pregiudiziale negazione di tutto, assolutamente tutto in campo morale, è solo la perenizzazione della prospettiva filosofica che si vorrebbe negare. Questo nichilismo della testa è in fondo retrogado.

C'è invece un nichilismo della pancia, che è virulento e autenticamente distruttivo, ma in fondo non così... nichilista. Questo si declina sia come igene distruttiva (la vita è putredine, la distruzione è karchérisation, un biancheggiar di ossa....), sia come cultura del marciume (e qui è l'esito mortale della distruzione che porta alla putredine).

In questo senso, viviamo un'epoca di nichilismo - ma non ha poi davvero risvolti pratici, piuttosto estetici.
La dimensione pop dell'arte, soprattutto in musica e film di culto, la si trova spesso  intenta all'esaltazione della distruzione, a volte come violenza cieca, a volte come giustizia apocalittica. E l'artista o è un criminale, una specie di Zorro, con una missione di vendetta contro il bello "piacione" che appaga senza tormentare, oppure è un reietto, magari pure privo di talento.
Si santifica l'opera con lo svilimento o l'annichilimento del suo autore, con l'auto-distruzione (come Baudelaire, Proust, Bukowski, ma anche Jim Morrison e Sid Vicious...). La sensibilità "artistica" è arrivata a coincidere con un prolungato rischio mortale, se non con un desiderio di morte.
C'è un approdo finale a una morte igenica, pulita, alla morte come ubi consistam, alla morte come giustizia, ordine, pace. Ma questa procede gradatamente fino all'apparente opposto della morte come ultimo oltraggio e sconcio.

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