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04 luglio 2010

Il falso (problema): così è se vi pare?

Il Realismo, pensare che alle nostre sensazioni corrisponda qualcosa che non siamo noi, è fondamentalmente un'ingenuità. Ingenua non è tanto l'ipotesi del senziente - che sente le cose. Questo sarebbe "sano", anche se già qui non si capisce se questo senziente è agente o reagente - e ci sarebbe una differenza, ma forse non è il caso di indugiare su questo.
Il vero problema è ammettere la questione della congruenza, dell'esattezza della percezione. 
In questo teatrino della sensazione, che si vuole scienificamente pura, si ipotizza una classe astratta costituita da una mutilazione selettiva del reale che finisce per postulare un complesso di proprietà del senziente che lo rendono totalmente fittizio, un senziente che non è un uomo e che, probabilmente, non è somigliante ad alcun essere vivente - al massimo a una specie estinta.

L'uomo ha una stupefacente capacità di fabbricare cose connettendo elementi sparsi e spesso non sustanzialmente, cioè falsamente, associati.
Questo dono poietico forse è una iattura filosofica - o forse no, è l'esatto contrario - ma è frutto della necessità. Se non si fosse mai stati capaci di sospettare la presenza di una tigre sulla base di un insieme di tratti tra le ombre della vegetazione (e, talvolta, la tigre c'era davvero) la specie si sarebbe stolidamente sacrificata al culto della verità (come ormai si sta facendo), invece di adottare comportamenti forse inutili lì per lì, ma certo molto più opportuni nell'economia della specie. Ma d'altra parte questo dovrebbe fare esitare prima di concludere che la connessione delle nostre percezioni - che non si sa nemmeno tanto bene come funzioni - corrisponda a "oggetti".
E questa sarebbe solo un'obiezione scientifica a un'ipotesi scientifica. Ma la vera obbiezione filosofica è ciò che per secoli e millenni non si è stati incapaci di formulare e ammettere: il significato precede il segno - forse non nella percezione, ma probabilissimamente nella coscienza (e ammettere uno stadio della percezione distinto da uno stadio della coscienza è una concessione a un obsoleto dibattito filosofico che, in realtà, non ci sentiamo di fare).

Si dovrebbe anche riflettere sul fatto che la presenza e la priorità delle sensazioni sono storiche, ce ne sono che vanno di moda e altre che non sono più in voga. Così questa è un'epoca di olfatto virtuale, atrofizzato agli odori naturali in favore di quelli artefatti, così che solo raramente il naso prende parte ai giudizi, più spesso viene emarginato e relegato alla trattazione dell'effimero privo di valore conoscitivo.
In generale è frutto della modernità avere ridotto le nostre percezioni a un ruolo secondario, come semplice riscontro di impianti mentali dettati dal nostro ambiente artificiale o dalle nostre credenze. Così le nostre percezioni, per lo più visive (il senso che va più lontano) e uditive (il senso più opprimibile), sono percezioni di strumenti che indicano qualcosa che non percepiamo direttamente.

Infine, considerando l'immagine scientifica del mondo - un piccolo paradosso, siccome proprio la scienza postula il realismo - dall'affermazione della teoria copernicana in qua, è ormai un fatto palmare che le nostre percezioni non sono la via maestra per spiegare il funzionamento macro-sistemico del mondo che ci circonda. [Ma si tratta di una diffidenza che viene da lontano e di cui la teoria copernicana è una conseguenza, non la causa].

Da tutto ciò, è opportuno insinuare il dubbio sulla capacità dei nostri sensi di rappresentare un mondo "esterno". Per quanto questo generi fastidio e nervosismo nell'uomo comune, i dubbi sembrano molto di più che semplici sofismi, sono leciti, legittimi e fondati - soprattutto ai filosfi.
Infatti esistono filosofi dubitano che il mondo reale ci sia davvero.

C'è quel noto filosofo batavo (o di lì vicino)  che ipotizza il cervello in un vaso, stimolato da un certo diavoletto...e che tutto sia solo un sogno. E perché no? Ma, ancor prima, perché sì?


Questo dubbio cartesiano comunque non si interessa a distinguere sogno è realtà, ma è originato dall'esigenza di trovare la certezza del/nel mondo. E perché quest'esigenza?
Qui sta la vera questione. La conoscenza attraverso i nostri sensi si è sempre mostrata sufficiente per fare quanto era necessario fare e anche molto di più. Se tutto questo è solo illusione, bisognerebbe avere la certezza di cosa sia la realtà, la verità e, soprattutto, bisgnerebbe capire a cosa serve questa volontà di verità... e questo non è un problema che deriva dalla noseologia, ma dalla morte di Dio.

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